Palermo: scritta all’incrocio con Via D’Amelio.

“Where were you on 9/11? – “Dove eri tu l’11 Settembre?”.
È una domanda molto nota tra gli Americani, e viene chiesta sempre nella ricorrenza della tragedia. Anche in Italia il ricordo di quel giorno è assai vivo. Lo è poi specialmente per quei ragazzi nati e cresciuti negli anni ’90.

Interrompiamo le trasmissioni

L’11 Settembre 2001 molti bambini italiani stavano guardando su Rai3 la “Melevisione”, un programma leggero a tema fiabesco. Quando la trasmissione fu interrotta bruscamente per dare spazio alla notizia delle Torri Gemelle, l’infanzia di molti italiani finì immediatamente là.

Li capisco. A quelli come me nati tra gli anni ’70 e ’80 successe una cosa simile il 19 Luglio 1992.

Era il tardo pomeriggio di una domenica afosa. Mia nonna era andata a messa ad Alba Adriatica con mia sorella, e io ero da solo a casa al mare. Tra un libro e un altro da leggere per i compiti estivi, stavo guardando sulla tv qualche programma per adolescenti. Non ricordo bene se fosse un cartone animato o la replica di un telefilm. Ricordo però molto bene quando la trasmissione fu interrotta, e venne data la notizia della strage di Via D’Amelio.

Coscienza della realtà

C’è un momento nella vita di tutti in cui cominciamo a prendere piena consapevolezza del mondo attorno a noi, quello vero che va oltre la famiglia e il circolo ristretto di amici e della scuola. Per me quel momento fu il 19 Luglio 1992.

E dire che prima di allora di stimoli ne avevo avuti, e tanti. Chiuso in casa senza poter bere il latte per Chernobyl, l’euforia in giro per il muro di Berlino abbattuto, le immagini di Bellini e Cocciolone catturati nella guerra del Golfo, i resti dell’Itavia della strage di Ustica che ancora oggi grida giustizia.

Però fu nulla in confronto a quel giorno in cui furono assassinati Paolo Borsellino e la sua scorta. Difficile da spiegare a parole, ma fu l’unico momento che io abbia mai vissuto in cui ricordo rabbia sana e una vera sollevazione popolare.

Ultimo numero de “La Storia d’Italia a Fumetti” con Il Messaggero – di Enzo Biagi, copertina di Milo Manara

1992

All’inizio del 1992 sentii per la prima volta il nome di Giovanni Falcone. Quello che all’epoca era il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, si spese per la nomina di Falcone alla Superprocura Antimafia, nonostante l’opposizione del CSM (di cui il Presidente della Repubblica è il capo).

La cosa mi colpì: un po’ vuoi per il piglio anticonformista di Cossiga (soprannominato il “picconatore”), vuoi perché ricordo disse che Falcone era stato “isolato”.

Quella parola, “isolato”, mi rimase impressa. Neanche 2 mesi dopo Giovanni Falcone fu ammazzato con sua moglie e la scorta a Capaci.

Le settimane che seguirono furono strane, o così le percepii io da bambino.

Orrore e sdegno comunicato a parole dalla politica, ma poco più.
Al posto del pressoché certo Andreotti, era stato appena eletto Scalfaro come nuovo Presidente della Repubblica. Nel frattempo l’attenzione mediatica era cambiata, in un’Italia in tempesta tra tangentopoli e crisi finanziaria (che 2 mesi dopo Soros sfruttò speculando contro la lira).

1 Luglio 1992 – La Stampa (immagine tratta da Archivio La Stampa)

E il fatto che si stesse preparando l’omicidio di Borsellino passò in sordina, quasi fosse normale.

Questa fu la cosa più sconvolgente della strage di Via D’Amelio. Mentre Capaci fu un atto di guerra per certi versi imprevisto nella brutalità, quella di Via D’Amelio ne fu una continuazione: una strage data per certa. Eppure non fu fatto nulla.

Un Titano

Quando mia nonna tornò da messa, le feci vedere la tv con le immagini della strage. Chiamò i miei genitori, e passammo i giorni seguenti a sentire le notizie sui telegiornali.

Divenne noto il fatto che Borsellino sapeva che era arrivato il tritolo per ucciderlo: “Mi sento un cadavere che cammina”.

Io avevo 12 anni, e mi chiesi perché Borsellino non fosse a quel punto andato via dalla Sicilia. Una fuga a cui nessuno avrebbe avuto nulla da ridire.

Diamine, il concetto “fuga” è ormai normale e sdoganato in Italia: fuga dei cervelli, fuga di Schettino, fuga di quel vigliacco di Vittorio Emanuele III. Tutti in fuga. Pochi che invece stanno, ancora di meno quelli che si ergono e dicono di no.

E qua allora comprendi la statura di un Titano quale era Paolo Borsellino.

“Chi ha paura muore ogni giorno. Chi non ha paura muore una volta sola”. Queste le parole di Borsellino: brevi, ma intrise di coraggio, princìpî e voglia solare di aiutare la propria gente. 
Che vita è una vita soggiogata dalla paura? Vale davvero la pena viverla?

“Meglio tirare a campare che tirare le cuoia” disse invece scherzosamente l’anno prima Andreotti, intervenendo su altri temi.

Due filosofie, due modi diversi di intendere la vita e di servire il Paese.

E qui mi torna in mente la domanda di Foscolo sul senso della nostra esistenza, e di come noi possiamo e dobbiamo essere di ispirazione per le generazioni future.
“All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne /
confortate di pianto è forse il sonno /
della morte men duro?

O, più prosaicamente, la considerazione del Gladiatore sull’influenza delle nostre azioni: “Fratelli, ciò che facciamo in vita riecheggia nell’eternità“.

Non fa piacere dire questo di una tragedia in cui morirono molte persone, ma furono proprio le stragi del 1992 a dare la giusta visibilità alle gesta di Falcone e Borsellino.

In un Paese che purtroppo era abituato a dire “tengo famiglia” e preferiva spesso guardare altrove, il sacrificio di Falcone e Borsellino fece ribollire le coscienze e ispirò una generazione di Italiani.

Per questo ancora oggi dopo 30 anni, se chiedi “Dov’eri tu il giorno di Via D’Amelio?” avrai quasi sicuramente una risposta, un ricordo nitido anche se la persona al tempo era un bambino.

Non è neanche un caso che Enzo Biagi chiuda con questo fatto il suo monumentale “La Storia d’Italia a Fumetti”.

Pagina conclusiva de “La Storia d’Italia a Fumetti” con Il Messaggero – di Enzo Biagi

Paolo vive

Cosa resta di tutto questo dopo 30 anni? La mafia come c’era all’epoca non esiste più. 

3 anni fa volli visitare Corleone. Mi invitò allora Giuseppe Chiazzese, deputato del paese, e con lui andai per i posti dove queste stragi furono pianificate. In giro a Corleone con un rappresentante dello Stato: 30 anni fa tutto questo sarebbe stato inimmaginabile.

Il crimine però ha cambiato forma: meno violento e visibile all’esterno, ma non per questo meno dannoso per l’Italia. E questo cancro subdolo non lo combatti frontalmente con le camionette dell’Esercito. Lo eradichi solo con il meglio di ciascuno di noi.

Perché, come ho ripetuto più volte, lo Stato non è un’entità astratta nell’Iperuranio platonico: lo Stato siamo noi e solo noi. E solo noi possiamo cambiare le cose.

E Paolo Borsellino vive quando non fai finta di nulla se vedi del marcio.
Paolo vive quando metti l’anima nel tuo lavoro, e non hai tentennamenti nella tua bussola morale.
Paolo vive quando non persegui il tuo di “particulare”, ma invece ti prodighi per il benessere della tua comunità.

E di tutto questo non dobbiamo ricordarci solo il 19 Luglio, ma ogni giorno dell’anno. Grazie Paolo.

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