20 punti per l’Innovazione tecnologica in Italia

È il primo articolo del mio blog. Ci tengo a inaugurarlo con miei pensieri sul fronte dell’Innovazione tecnologica, e le azioni che ritengo necessario prendere per imprimere in Italia quella che in America chiamerebbero una “svolta a U”.

E voglio iniziare l’articolo ricordando Guglielmo Marconi, un giovane 20enne italiano: fu deriso in Italia dal Ministro delle Poste; non si arrese, e con enorme volontà andò in Gran Bretagna facendo la grande fortuna di quel Paese.

Il progresso tecnologico e scientifico contribuisce enormemente alla prosperità di un Paese: però da Marconi ai giorni d’oggi purtroppo poco è cambiato nella comprensione che i decisori italiani hanno sul tema. Se c’è una cosa che voglio con questo articolo è contribuire a cambiare questo atteggiamento.

Tutto quello che scriverò in questo blog sono mie riflessioni, e parlerò sempre a titolo strettamente personale. Potrò risultare spigoloso e non sempre politicamente corretto: amo troppo la libertà per imbrigliare le parole in una finta retorica. Mi piacerebbe però che nascesse un dialogo con chi ha posizioni diverse dalle mie, perché accetto molto volentieri critiche motivate e costruttive che mi permettano di crescere nelle mie opinioni.

Il mese scorso il Ministro Paola Pisano mi ha chiesto suggerimenti da poter applicare in Italia. La cosa mi ha fatto molto piacere, dato che si comincia a prestare attenzione all’argomento. Ho scritto allora di getto 20 punti che sono convinto possano aiutare l’innovazione tecnologica in Italia nei suoi vari ambiti: dall’educazione nelle scuole superiori, all’università, al supporto alle startup innovative, a idee di strategia a lungo respiro. ​

Mi piace condividerli con tutti voi per avere ulteriori spunti e miglioramenti.

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EDUCAZIONE DI BASE​

1) Sviluppo conoscenze informatiche moderne e pratiche alle scuole superiori

L’Informatica deve avere la sua dignità di materia scientifica di base, al pari di Chimica, Fisica e Matematica. Attualmente NON viene insegnata nei Licei Scientifici (a parte indirizzi particolari, e con piani non appropriati) e completamente ignorata nei Licei Classici. È presente negli Istituti Tecnici, dove andrebbe potenziata. ​

Per mia esperienza personale gli ultimi 2-3 anni delle scuole superiori (ossia fascia di età 16-19 anni) è là dove l’introduzione dell’Informatica è recepita dai ragazzi in maniera positiva e creativa.

Gli studenti italiani delle scuole superiori coi migliori risultati nelle Scienze oggi si iscrivono a Matematica o Fisica. Pochi considerano l’Informatica per il semplice motivo che non l’hanno mai vista prima: ignorando cosa sia, i ragazzi optano per materie “classiche”, che comunque hanno sbocchi lavorativi relativamente limitati e comunque molto spesso legati all’ambito informatico.

Esperienza personale: i ragazzi a cui ho introdotto l’Informatica, e che hanno deciso poi di studiarla all’università, non l’avrebbero mai fatto se non avessero avuto il mio insegnamento. Sono ragazzi felici della scelta, e già si intravedono dei piccoli professionisti, imprenditori o comunque creatori di ricchezza. È tessuto sano per un Paese.

2) Contenuti di insegnamento​

​Anche nei (pochi) casi in cui l’Informatica viene insegnata, i programmi sono stantii. Insegnare C a un teenager come prima cosa è il modo più efficace per fargli odiare la materia per sempre. Anche insegnare l’Informatica nella veste algoritmica è controproducente: è un aspetto importante, ma va trattato dopo, una volta che il ragazzo si è appassionato alla materia. Sarebbe come discettare di filosofia quando non si conosce neanche l’alfabeto.

La materia va resa prima di tutto accattivante, e fatto comprendere che anche un ragazzo di 16 anni può creare la sua applicazione web o mobile di cui essere orgoglioso e, perché no, vantarsi con amici e ragazza/o.​

​Quando ero sui banchi di scuola 20-25 anni fa a scuola si insegnava obbligatoriamente Pascal come linguaggio: cosa assolutamente inutile. Nel 2020 va reso obbligatorio invece un linguaggio di scripting general purpose, piacevole da usare, e con cui è facile costruire applicativi anche complessi.

Personalmente ritengo Ruby (col framework Rails) ideale in questo: ben noto e usato in Silicon Valley da compagnie moderne, e con librerie facili da integrare e che permettono in poco tempo di creare applicativi anche sofisticati. Il problema è che purtroppo Ruby on Rails non ha ancora presenza tecnologica rilevante tra le compagnie in Italia, ed esporre un ragazzo a tali tecnologie non aiuterebbe immediatamente il Paese.

Potrebbe allora essere più opportuno puntare su Python (e relativi framework): è un linguaggio diffuso ovunque nel mondo, e de facto il linguaggio di programmazione di riferimento in ambito scientifico. Si farebbe un gran servizio culturale/professionale ai ragazzi aprendogli tale conoscenza, e di conseguenza anche al Paese.

​Oltre il lato applicativo, ci sono altri strumenti e tecnologie che nel 2020 è fondamentale che un ragazzo conosca. La conoscenza di Linux (e.g., Ubuntu) va resa obbligatoria, e idealmente va permesso ai ragazzi di avere conti gratuiti su sistemi cloud come Azure o AWS (sempre ammesso che non esistano cloud italiani o governativi). In questo modo si fa toccare con mano come funzionino i sistemi web che oggi i ragazzi usano solamente come semplici consumatori.

Strumenti di “version control” come git vanno assolutamente introdotti, anche in vista di lavori di gruppo. Inaccettabile che strumenti base come questi siano spesso ignorati addirittura nelle università italiane.

3) Insegnanti​

​Punto dolente. Tecnologie moderne sono poco note/insegnate in ambito universitario: in ambito scuole superiori è ovviamente peggio.

Si può ovviare con corsi e-learning con istruttore remoto, e con compiti a casa da svolgere in vista delle lezioni successive.

Idealmente vanno cooptati professionisti. Va fatto un salto mentale, e pensare che queste sono competenze che professionisti hanno maturato in decenni di lavoro, e sono quasi sempre ben contenti di poter passare conoscenze alle nuove generazioni. ​

Il tutoraggio può essere affidato a ragazzi che hanno già fatto il corso in passato e/o (se all’inizio) a studenti universitari in cambio di crediti. Devono esserci poi forum online di base per scambiare informazioni tra gli studenti, e creare gruppi di lavoro. ​

A livello di infrastruttura tecnica, tutto ciò è già coperto da piattaforme di e-learning, che esistono anche in Italia (io personalmente apprezzo molto Lacerba). Possono essere usate molto bene allo scopo, ma ovviamente vanno riempite di contenuti e soprattutto di insegnanti.

SUPPORTO ALLE REALTA’ INNOVATIVE ITALIANE​

4) Promozione governativa​

​Nei viaggi missione all’estero, è di grande aiuto se Primo Ministro o Ministri portino seco startup promettenti. È un modo semplice e a basso/nullo costo per far conoscere il meglio dell’Italia e aiutare le nostre startup a farsi un nome. È una tecnica adottata in passato dall’ex Primo Ministro britannico Cameron nelle sue missioni commerciali: ​https://www.cityam.com/pm-take-uk-fintech-leaders-asian-tour/​

5) Aiuto fiscale per investimenti e exit​

​Attualmente gli investitori hanno un beneficio fiscale del 40% se investono in startup innovative italiane. Ottimo punto, che la Finanziaria 2019 ha migliorato: https://startupitalia.eu/115801-20191004-perche-conviene-investire-in-startup-tutte-le-agevolazioni-fiscali

​Non ci si deve fermare qua: ci vogliono maggiori incentivi fiscali alle exit. All’Italia mancano come l’ossigeno storie da raccontare, e che creino un circolo virtuoso. Far comprendere che creare startup in Italia può portare al successo personale e del personale, oltre alle ricadute economiche, dà vita a nuovi cicli: tra ammirazione e capitale a disposizione, nuove compagnie nascono, ex compagni di “battaglia” supportano le nuove iniziative, e si creano a valanga nuove competenze. ​

Da osservare con attenzione le dinamiche della cosiddetta “PayPal Mafia”: nome terribile, ma indica un fenomeno ben noto di costruzione che ha dato vita alla Silicon Valley degli ultimi 20 anni che oggi conosciamo, con compagnie d’avanguardia come Tesla e leader come YouTube. Andando indietro nel tempo, un fenomeno simile successe sempre in Silicon Valley dagli ingegneri che a fine anni ’60 uscirono da Fairchild Semiconductor e finirono per creare Intel e tanti altri colossi dell’elettronica. È questo quello che deve accadere in Italia.

6) Supporto dai pochi grandi colossi ancora italiani​

​È vitale che quei pochi giganti che ancora esistono in Italia (e.g., Leonardo/Finmeccanica, Trenitalia, Poste, ENI) investano in startup e le aiutino a crescere. Si tratta di pochi soldi relativi al proprio bilancio (“peanuts” per dirla all’americana), ma che ha il duplice scopo di aiutare un ecosistema, e aiutare anche gli investitori stessi nel caso in cui le startup in cui hanno investito diventino nuovi giganti. In questo l’evoluzione storica dei rapporti tra Yahoo! e Alibaba è esemplificativo.

Da stigmatizzare il ricorso a profusione di compagnie di consulenza per fare lavori scadenti e costosi. Vedi caso di Hertz in USA: https://www.adweek.com/agencies/hertz-sues-accenture-for-breach-of-contract-over-seriously-deficient-web-design-work/

​Se le grandi compagnie italiane hanno bisogno di qualcosa, e le startup soddisfano quel bisogno, che allora le comprino! Penso a quanto una piccolissima startup come “Orario Treni” possa fare per Trenitalia e tutti noi come clienti, o quello che una startup ben avviata come Moneyfarm possa fare per Poste. E su questo, sono contento che proprio un paio di mesi fa Poste abbia investito su Moneyfarm.​

L’ideale è che si creino le condizioni per delle belle exit, che andrebbero a sostenere quanto scritto al punto sopra. ​

7) Struttura societaria​

Va adottato il modello USA e della sua “corporate governance”. È assurdo pensare che una “Srl.” sia forma societaria degna di una startup innovativa. Va permesso di creare facilmente C Corp come in USA, rendendo banale l’elargizione stock options con vesting ai dipendenti/collaboratori. ​

Le stock options sono tra l’altro uno strumento da far conoscere e incentivare: in questo modo i dipendenti sono parte del successo della startup (col proprio lavoro) e allo stesso tempo hanno un ritorno economico importantissimo grazie alle azioni.

8) Alleggerire zavorra legale​

Questo aspetto è un vero incubo. Un cancro che devasta il tessuto sano italiano. Per sua stessa natura, una startup è una compagnia in costante evoluzione, sottoposta a enormi rischi e stress interni ed esterni per la propria stessa sopravvivenza specialmente all’inizio della propria vita. Se la si vuol far prosperare, e con essa creare sempre più posti di lavoro, non si possono applicare alle startup le stesse pesanti e costose normative che si applicano a colossi del settore. Sarebbe come costringere un neonato a sollevare 100kg di peso: finisci per ucciderlo.

Questo concetto è ben noto all’estero, e non è necessario andare oltreoceano. È da prendere spunto dal Regno Unito: ad esempio, in ambito FinTech lì hanno creato il cosiddetto “sandbox”, un quadro normativo leggero che si applica a startup nella loro fase di crescita.

Se si guardano le startup approvate dall’FCA (l’ente britannico di regolamentazione in ambito finanziario) a me colpisce molto che ci siano compagnie che fanno uso estensivo di nuove tecnologie come le DLT: https://www.fca.org.uk/news/press-releases/fca-reveals-fourth-round-successful-firms-its-regulatory-sandbox​

Mentre nel Regno Unito queste compagnie possono nascere, sperimentare, operare, crescere e prosperare, in Italia sarebbero soggette a regole scritte nei secoli scorsi, di difficile interpretazione nella società odierna, e costosissime. Il caso di Satispay riassume tutto il problema: Satispay è una delle poche realtà italiane nel FinTech e, nonostante le difficoltà, prova a lottare in Italia. Eppure si è vista costretta a chiedere licenza per operare come istituto di pagamento nel Regno Unito per poi “passaportarla” in Italia. Tutto questo giro assurdo proprio perché non era riuscita ad ottenere la licenza direttamente in Italia.

Se già si dà per scontato che non si può operare in Italia, o si è forzati a giri contorti per poterlo fare, diventa arduo anche il solo immaginare di poter fare impresa in Italia.

9) Stesse regole per tutti​

​Questo punto prosegue quello sopra. Mentre le compagnie italiane sono sottoposte a situazioni kafkiane, le equivalenti compagnie straniere hanno invece via libera, de iure o de facto. O perché fanno riferimento a norme nel loro Paese di origine (caso compagnie UE) meno stringenti e che sono accettate anche in Italia, o perché effettivamente non vengono poi perseguite (caso compagnie USA). Non c’è il cosiddetto “level playing field”: in situazioni non eque come queste, si smorza immediatamente la fiamma delle compagnie che provano ancora a nascere in Italia.

CAMBIO DI PASSO NELLE UNIVERSITA’​

10) Internship estivo​

​L’università italiana non è in grado di fornire competenze pratiche. Dispiace dirlo, ma è un fatto grave che non può più essere ignorato. Un modo per mitigare questo problema è adottare una soluzione che si adopera in USA: ossia, nessun corso/sessione di esame universitario d’estate, e invece spronare gli studenti a svolgere internship estivi. ​

In USA c’è molta competizione per svolgere un internship estivo in compagnie come Google o Facebook, oppure startup innovative: anche se si tratta di poche settimane, queste sono esperienze che fanno toccare con mano allo studente cosa sia il mondo dopo l’università, e finisce anche per far anche apprezzare meglio il contenuto teorico dei corsi universitari una volta che ne si vede il risvolto pratico.

11) Dignità alla Ricerca Applicata​

L’università italiana dà un peso esagerato alla Ricerca di base o prettamente teorica. Per quanto affascinante, ha spesso ricadute minime sull’economia del Paese. La Ricerca applicata, quella che invece permetterebbe alle compagnie di trovare soluzioni a problemi pratici che affrontano ogni giorno, è invece spesso poco considerata nelle università. ​

In questa disparità di trattamento c’è sia una componente di fascino (accademici italiani purtroppo spesso percepiscono la teoria pura come l’unica ricerca degna) che di concretezza (la ricerca applicata richiede risultati, e questo può mettere in difficoltà ricercatori a cui non è mai stato prima chiesto un riscontro nel mondo reale).

Bisogna passare dal “ricercare” al “trovare”. I risultati sono e vanno apprezzati, così come progetti che permettano alle università di collaborare con imprese. Non si tratta di lavori di serie B, come invece sono stati spesso percepiti finora. Anzi, tutt’altro.

TECNOLOGIA NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E GOVERNO​

12) Trionfo dell’Open Source​

Va messo online il codice sorgente di ogni ente pubblico, partendo dalle semplici pagine web per arrivare alle piattaforme. E, soprattutto, permettere a esterni di collaborare, segnalando bug e/o contribuendo a migliorie con pull request.

In questo, il Team per la Trasformazione Digitale è stato un precursore, e tale processo va incentivato. Sono tanti i ragazzi a cui piace collaborare a progetti pubblici, e mettere in qualche modo la propria firma per rendere i servizi più efficaci. Farebbe luce sulla qualità dei prodotti attuali della Pubblica Amministrazione e porterebbe a una loro evoluzione significativa.

Nello spirito dei punti precedenti, sarebbe poi ideale se il servizio per la pubblicazione e la collaborazione fosse reso da una compagnia italiana, in alternativa al classico GitHub.

13) Identità digitale

​I benefici di un’identità digitale sono ovvi a livello di Pubblica Amministrazione. Un modo semplice per permettere ai cittadini di interagire con i servizi della Pubblica Amministrazione senza doversi registrare ogni volta a un nuovo servizio, e snellire processi notoriamente macchinosi. In aggiunta, può essere adottato anche in ambito privato, per accedere ad esempio a istituti finanziari o che richiedono KYC (come ad esempio servizi di cryptovalute).

Il valore complessivo non è solo per il cittadino, ma anche per una compagnia privata, facendo risparmiare ad essa i costi per la creazione e verifica (spesso manuale) dell’identità di una persona.

Uno studio di McKinsey ha addirittura stimato l’impatto sul PIL di un Paese tra il 3% e il 13%: https://www.mckinsey.com/business-functions/mckinsey-digital/our-insights/digital-identification-a-key-to-inclusive-growth/

In Italia sono state adottate varie soluzioni, spesso con visioni parziali, come SPID. Qualsiasi sia la soluzione su cui puntare, va assolutamente incluso il settore privato, e introdotta la possibilità di avere carta fisica come passo intermedio per persone non totalmente abituate al digitale. ​

14) Stablecoin​

Si parla molto di Blockchain in ambito finanziario. Sono nuove tecnologie nate col Bitcoin, e che ultimamente stanno venendo introdotte anche come modo per creare e trasferire valute nazionali. A guidare questi sforzi sono spesso enti privati come JP Morgan (con il JPM Coin) o addirittura compagnie non finanziarie come Facebook (con Libra):

Quasi ogni banca centrale si è dimostrata completamente spiazzata dall’ingresso di attori privati in un ambito in cui erano monopoliste. Eccezioni sono rappresentate dalla Banca Centrale della Cina, che pare decisa a creare il suo yuan digitale. Le dichiarazioni del Presidente cinese Xi Jinping spingono la Cina a diventare leader delle tecnologie Blockchain e servizi finanziari collegati:

In questo scenario, l’Europa si trova schiacciata tra USA e Cina. Di questi giorni notizie secondo cui l’Unione Europea stia considerando la creazione di uno stablecoin legato all’Euro, proprio per evitare che valute digitali straniere possano prendere piede in Europa: https://www.pymnts.com/cryptocurrency/2019/eu-draft-floats-digital-currency-proposal-to-counteract-libra/

​Fortunatamente l’Italia si trova per una volta in una situazione molto favorevole. In Italia infatti esistono già competenze tecnologiche avanzate, sia a livello di compagnie che di persone, che permetterebbero la creazione di uno stablecoin legato all’euro. Con la giusta volontà, un “A-Team” potrebbe essere creato in tempi relativamente brevi, e guidare gli sforzi europei nel settore. Sarebbe la prima volta per l’Italia, e contribuirebbe molto a cambiare la percezione del Paese all’estero.

15) Voto Estero​

​I cittadini italiani residenti all’estero sono chiamati a votare nelle elezioni politiche via posta. Attualmente tale processo di voto presenta gravi problemi di gestione, conteggio, spese, se non frodi: assai lontano da quello che una democrazia moderna deve essere. Si può invece pensare a un sistema che possa far fare davvero un salto quantico di qualità, facendo leva sulle tecnologie moderne.

Componenti base di tale sistema consistono in un sistema di identità digitale (come menzionato in un punto precedente) e tecnologie Blockchain come quelle usate da cryptovalute anonime. Un tale sistema, opportunamente sviluppato, consentirebbe segretezza del voto e allo stesso tempo la sua certezza, il tutto a un costo marginale per il Paese. Rappresenterebbe poi una evoluzione significativa alle deficienze croniche dell’attuale sistema di voto all’estero, oltre a migliorare l’immagine tecnologica dell’Italia all’estero.

STRATEGIA A 10 ANNI​

16) Una eccellenza universitaria​

​Università. Puntare su una, e far sì che entri nella top 10 in ingegneria, almeno europea, entro 10 anni. Singapore ci è riuscita ad esempio addirittura con ben 2 sue università (NUS e NTU) in Asia:

La scelta della città è importante: studenti, ricercatori e professori e professionisti sono prima di tutto persone, e non sono insensibili a mare e clima favorevole. In USA ad esempio è questo uno dei motivi per cui la fredda area di Boston, nonostante Harvard e MIT, abbia ceduto il passo al ben più mite ambiente di San Francisco (con Stanford e Berkeley). In Europa è stata Barcellona a fare leva proprio su questa dinamica.

In aggiunta, la città deve avere facilità di trasporto aereo con tutta Europa, corsi in inglese, e far di tutto per attirare il meglio dei professori internazionali. ​

A tal proposito, l’università deve essere sia di formazione rivolta a studenti (con corsi di laurea di eccellenza) che di ricerca. È sbagliatissimo l’approccio scelto anni fa con l’IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) di Genova, relegando quello che doveva essere l’accademia di punta italiana a un semplice dipartimento di ricerca isolato. Anche il nome dell’università è importante: può piacere o meno, ma nel terzo millennio è un “brand” che va creato e coltivato. In questo l’IIT si è dimostrato essere assai miope e poco accorto di cosa esista nel mondo: nome che suscita poca fantasia, che è tra l’altro è già usato da università molto più note a livello mondiale (ossia l’Indian Institute of Technology).

​Questa università deve essere il punto di partenza per la ricostruzione in Italia. Se non una Stanford, deve essere almeno una Tsinghua come a Pechino.

17) Trasmissioni culturali tecnico/scientifiche​

​In Italia ci sono valide trasmissioni di divulgazione tecnica e scientifica del terzo millennio, adatte al pubblico generale. Mi vengono ad esempio in mente le trasmissioni di Barbara Carfagna sulla RAI come Codice. Sono purtroppo trasmesse in piena notte, spesso in estate: ossia, totalmente trascurate e non considerate prioritarie.

Sarebbe necessario un piano di promozione e sviluppo di queste trasmissioni all’interno della RAI, anche perché parte integrante della loro missione come servizio pubblico.

18) Sede di almeno un convegno globale di tecnologia​

​L’Italia non è sede di alcun evento degno di nota di tecnologia, per lo meno digitale. Personalmente mi ha molto colpito il caso di Lisbona, città fino a poca tempo fa considerata periferia del mondo. Lisbona è riuscita a far trasferire da Dublino il Web Summit, in assoluto uno dei più importanti eventi di tecnologia mondiale. 70mila persone da tutto il mondo che sono andate al convegno, e per cui il Portogallo ha mostrato il suo lato migliore. È una vetrina importante, con gran ritorno per l’economia di una città e che cambia drasticamente la percezione che all’estero si ha di un Paese.

Se l’Italia non è in grado di creare da zero un evento di portata simile (richiede energie, denaro ma soprattutto tempo) allora può pensare a strapparlo da altre locazioni, come Lisbona ha fatto con Dublino.

19) Indipendenza tecnologica dall’estero in ambito governativo​

​È sempre più evidente l’importanza che i dati oggi hanno, sia a livello di profilazione di persone, che di contenuto puro (come ad esempio accesso a email).

Oggi più che mai uno Stato non può fare affidamento a piattaforme tecnologiche straniere, per quanto ottime possano essere tecnicamente. È troppo grande il rischio che informazioni sensibili siano in mano a enti/governi stranieri, e usate opportunamente contro gli interessi del Paese. Si tratta di sicurezza nazionale, e come tale deve essere la sua priorità​.

Va costruita una piattaforma cloud nazionale. Inizialmente per ospitare tutti i servizi della Pubblica Amministrazione, e implicitamente anche per razionalizzarli e renderli più efficienti. In una seconda fase tale piattaforma potrebbe poi essere estesa per supportare i bisogni di enti privati. Compito estremamente impegnativo, che richiede tempo, risorse economiche e soprattutto di persone. Ma è imperativo farlo.

20) “Tartarughe marine”​

​Uno degli aspetti chiave, forse il più importante, che ha permesso alla Cina di diventare potenza leader mondiale in ambito economico e tecnologico, è stato il programma delle “tartarughe marine”. Nel 1978 il leader cinese Deng Xiaoping ideò tale programma per far studiare i migliori cinesi all’estero, e finanziarne gli sforzi: lo stesso Deng Xiaoping aveva studiato brevemente in Francia, e capito l’importanza strategica per il Paese. Il programma è poi evoluto nel tempo per permettere ai cinesi che avevano avuto esperienza di studio/lavoro all’estero o fatto impresa, di riportare quelle competenze nella madre patria. ​

La Cina ha facilitato e supportato il lavoro di queste “tartarughe marine” (noi li chiameremmo cervelli di ritorno), e ne è stata ampiamente ricompensata. Sono così nati colossi come Baidu, e compagnie come Alibaba sono riuscite a prosperare grazie all’esperienza dei nuovi dirigenti: https://edition.cnn.com/2010/WORLD/asiapcf/10/28/florcruz.china.sea.turtles.overseas/index.html

​Si tratta di un programma ambizioso, ma che ha dimostrato molto bene la sua grande efficacia. Si può prendere ispirazione da quanto ha fatto la Cina, e applicarlo in Italia. Sarebbe fantastico. ​

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Innovazione” è una parola purtroppo spesso abusata in Italia. Ben pochi fatti seguono, ma incredibilmente vi è un numero spropositato di conferenze a tema.

L’Innovazione non si basa su parole: si fonda su azioni vere, spesso coraggiose, ostracizzate nel breve termine, ma che gettano le basi per la prosperità di un Paese nel lungo periodo. Per i nostri figli e nipoti.

Grazie per aver letto questo articolo. Davvero lungo, lo so. So anche di aver espresso opinioni forti, e come ho scritto all’inizio sono ben felice di discutere in maniera costruttiva con chi ha punti di vista diversi. Ben venga se queste discussioni smuovono un po’ di animi.

La cosa importante non è discettare su chi abbia ragione o meno: la cosa importante è trovare alla fine le soluzioni migliori per sviluppare l’Italia. È il bene del nostro Paese l’unico e solo obiettivo. 

Vincenzo

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