Questo articolo è stato pubblicato su Italian.Tech di Repubblica il 12 Ottobre 2022

Software is eating the world: il software sta mangiando il mondo. Marc Andreessen, fondatore di Netscape e tra i massimi VC della Silicon Valley, usò questa frase nel 2011 per far capire il ruolo chiave che l’Informatica stava assumendo nelle nostre vite.
Sono passati più di 10 anni da allora, e la frase di Marc Andreessen è sempre più vera. Dalla finanza all’intrattenimento, dalla medicina all’industria: non c’è settore dove l’Informatica oggi non rivesta un ruolo fondamentale o di supporto determinante. Addirittura la guerra in Ucraina ha mostrato la rilevanza strategica dell’Informatica in ambito militare, come scrissi a Marzo.

Un’idea sbagliata che spesso circola è che l’Informatica distrugga il lavoro. È invece vero il contrario: l’Informatica è uno straordinario catalizzatore per la generazione positiva di posti di lavoro.

Questo studio di McKinsey di qualche anno fa evidenzia che in Francia Internet abbia distrutto 500mila posti di lavoro negli ultimi 15 anni. Allo stesso tempo, stima che abbia creato 1 Milione e 200mila nuovi posti di lavoro: un totale di 2,4 posti di lavoro creati per ogni posto di lavoro distrutto. Cifre simili sono state stimate nel mondo, dove Internet ha creato 2,6 posti di lavoro per ogni posto di lavoro distrutto.

Lo vedo anche io a livello personale. Il lavoro di mia madre, addetta al telegrafo, non esiste più, ed è profondamente cambiato quello che mio padre svolgeva all’anagrafe del comune. Sono invece nati molti più lavori di alta tecnologia nel settore digitale, sia nel mondo privato che in quello pubblico.

La domanda di questi lavoratori supererà, e di molto, l’offerta. Questo articolo del Fondo Monetario Internazionale riporta una stima di Korn Ferry, secondo cui nel 2030 ci sarà una richiesta sempre più massiccia di lavoratori in settori tecnologici: ne mancheranno però 85 Milioni, con una perdita potenziale di 8,500 miliardi di dollari in ricavi annui per le economie mondiali.

La grande sfida di oggi consiste quindi nel far sì che gli Italiani attingano alle nuove opportunità offerte dai lavori moderni esprimendo al massimo il proprio potenziale. Trasformare l’Italia da mercato passivo di tecnologia straniera, a Paese attivo nella creazione di tecnologia moderna. Questo è il risultato a cui tendere.

Paesi come Stati Uniti, Israele, Cina, Singapore e Francia hanno negli anni perseguito questo obiettivo e ne hanno tratto i massimi beneficî. Basta guardare le prime 5 compagnie al mondo per capitalizzazione: 4 di queste sono compagnie di tecnologia in cui il software riveste un ruolo essenziale (Apple, Microsoft, Google, Amazon). Non si tratta solo di numeri finanziari: ciascuna di queste compagnie ha creato centinaia di migliaia di posti lavoro moderno e generato indotto di alta qualità.

Fonte: Statista, basata su dati Forbes. In spunta verde le compagnie tech/software

L’Italia, e in generale l’Unione Europea, non ha espresso realtà locali lontanamente comparabili alle compagnie sopra citate. Anzi, ne è diventata mercato di conquista e consumatrice passiva di servizi sempre più essenziali.

**********

Qui di seguito elenco 10 punti per lo sviluppo tecnologico, la cui implementazione ha tre obiettivi:

  • limitare la dipendenza tecnologica di aree strategiche dall’estero
  • rendere possibile la creazione di imprese italiane di avanguardia tecnologica
  • potenziare la cultura di base introducendo una vera scolarizzazione informatica

Molte di queste proposte prendono ispirazione da iniziative che sono state già sperimentate e realizzate con successo in altri Paesi, e hanno dato una forte spinta propulsiva al loro progresso economico. Ovviamente, di queste iniziative va preso il meglio, e vanno declinate in base ai valori fondanti della cultura italiana.

Qui una tabella riassuntiva dei 10 punti descritti sotto:

  • Professionisti
    1. Invertire la diaspora
    2. Attrarre lavoratori remoti
  • Istruzione
    1. Sviluppare conoscenze informatiche moderne e pratiche alle scuole superiori
  • Tecnologie fondanti
    1. Cloud nazionale
    2. Cybersicurezza
    3. Intelligenza Artificiale
  • Industria
    1. Le grandi compagnie italiane in supporto delle imprese emergenti
    2. Lo Stato in supporto delle imprese emergenti
    3. Struttura societaria
  • Divulgazione
    1. Trasmissioni culturali tecnico/scientifiche

PROFESSIONISTI

  1. Invertire la diaspora
    • Orizzonte temporale per l’esecuzione: medio-lungo
    • Esempio di successo: Cina

Il programma 海归 (“tartarughe marine”) è stato uno degli aspetti chiave, forse il più importante, che ha permesso alla Cina di diventare potenza leader mondiale in ambito economico e tecnologico. Come? Il programma si rivolgeva ai cinesi all’estero che avevano fatto impresa o avuto importanti esperienze di studio/lavoro, e consentiva loro di riportare quelle competenze nella madre patria.

Fu un programma voluto fortemente da Deng Xiaoping nel suo piano strategico per modernizzare la Cina, che all’epoca era assai diversa dalla potenza economica odierna. La Cina facilitò e supportò il lavoro di queste “tartarughe marine” (noi li chiameremmo cervelli di ritorno), e ne è stata col tempo ampiamente ricompensata. Sono così nate compagnie come Baidu (la Google cinese), e colossi come Alibaba e Tencent sono riusciti a prosperare proprio grazie all’esperienza dei nuovi dirigenti “tartarughe marine”.

Si tratta di un programma ambizioso, ma che ha dimostrato molto bene la sua grande efficacia. Così come la Cina decenni fa, l’Italia si trova oggi ad avere un enorme numero di professionisti all’estero; allo stesso tempo, parte di questi vorrebbe tornare a condizione che vi sia un vero e chiaro supporto per la crescita. “Rondini italiane”: è fattibile. Una grande occasione da non sprecare.

  1. Attrarre lavoratori remoti
    • Orizzonte temporale per l’esecuzione: breve
    • Esempio di successo: USA (Miami e Austin)

Nella sua tragicità, la pandemia ha portato anche cambiamenti come quello del lavoro a distanza. In USA città come New York e soprattutto San Francisco si sono svuotate di professionisti in favore di altre città come Austin e soprattutto Miami. Come mai? I lavori informatici si possono ormai svolgere eccellentemente anche da remoto, e i lavoratori sono in primis persone che cercano una migliore qualità della vita (oltre che una riduzione della pressione fiscale).

L’Italia in questo ha un vantaggio competitivo su cui fare leva. Oltre all’indubbia attrazione come Paese in cui vivere, l’Italia offre già oggi importanti sgravi fiscali per attirare professionisti dall’estero (regime di tassazione agevolata per i “lavoratori impatriati”). Per gli imprenditori ci sono poi beneficî e condizioni speciali nelle ZES (Zone Economiche Speciali), aree in cui le competenze moderne dei professionisti internazionali possono accelerare lo sviluppo.

È però pressoché assente il “marketing”: sono veramente pochi all’estero a sapere di tutti questi vantaggi. E una legge, per quanto fatta bene, è inutile se chi ne può usufruire non la conosce.

Una campagna promozionale all’estero, online e offline, mirata a convincere professionisti informatici a lavorare in Italia è relativamente semplice da attuare. In aggiunta, inizia a dare all’Italia una quasi inedita immagine di Paese di opportunità. E, coincidenza interessante, dà concretezza a quello che la parola Italia 意大利 significa in mandarino: ossia, “idea di grande guadagno”.

ISTRUZIONE

I due punti sopra puntano ad attirare il meglio dei professionisti dall’estero. Usando una metafora calcistica, è come avvenne in Serie A a metà anni ’80: l’arrivo di fenomeni come Maradona e Rummenigge fu il propellente che fece decollare la qualità del nostro campionato. Però il fattore concomitante che completò l’opera, e rese la Serie A il campionato migliore al mondo per i 20 anni successivi, fu il lavoro di costruzione del settore giovanile. Quello che portò ai Roberto Baggio e agli Alessandro Del Piero.

Un lavoro su due fronti: dall’alto, i fuoriclasse affermati nel mondo; dal basso, i giovani talenti italiani da crescere.

Il che ci porta alla seconda parte di questa strategia di sviluppo sul capitale umano.

  1. Sviluppare conoscenze informatiche moderne e pratiche alle scuole superiori
    • Orizzonte temporale per l’esecuzione: medio
    • Esempio di successo: in corso in varie aree del mondo (USA, Israele, Singapore, Giappone)

È impossibile sviluppare l’Informatica in Italia se questa non ha fondamenta solide nelle scuole. Ancora oggi l’Informatica NON viene insegnata nei Licei Scientifici (a parte indirizzi particolari, e con programmi antiquati) e viene completamente ignorata nei Licei Classici. È presente negli Istituti Tecnici, dove andrebbe però potenziata.

Il danno, oltre che culturale, è anche sociale. Dopo le scuole superiori pochi ragazzi scelgono di studiare Informatica o di lavorare in ambiti informatici proprio perché non hanno mai conosciuto la materia. Si precludono così strade optando per percorsi che spesso hanno sbocchi lavorativi relativamente limitati e in cui comunque l’aspetto informatico riveste oggi sempre più importanza.

I principali punti su cui agire sono due:

  • Modernizzazione dei programmi

Anche nei (pochi) casi in cui l’Informatica viene insegnata, i programmi attuali sono stantii e finiscono per sortire l’effetto contrario: ossia quello di far odiare la materia per sempre. L’Informatica va resa prima di tutto accattivante, e soprattutto moderna: va fatto comprendere che anche un ragazzo/a di 16 anni può creare la sua applicazione web o mobile di cui essere orgoglioso. È possibile? Assolutamente sì, e l’ho sperimentato di persona insegnando nelle scuole Python e tecnologie web associate.

Python è il linguaggio di sviluppo più rilevante al mondo, oltre che quello di riferimento in ambito scientifico: dall’Intelligenza Artificiale alla Data Science. Si farebbe un gran servizio culturale/professionale aprendo tale conoscenza ai nostri ragazzi e, di conseguenza, al futuro del nostro Paese.

  • Insegnanti

Punto più complicato. Le tecnologie moderne sono purtroppo già poco note/insegnate in ambito universitario: in ambito scuole superiori va ovviamente peggio. Mancano le competenze oggi in Italia per insegnare queste materie. Come fare allora? Implementando un piano che permetta al mondo privato di aiutare il mondo pubblico. Rimuovendo barriere e consentendo ai professionisti di insegnare nelle scuole le materie, come l’Informatica, in cui hanno competenze moderne.

TECNOLOGIE FONDANTI

È sempre più evidente l’importanza che i dati oggi hanno, sia a livello di profilazione di persone, che di puro contenuto (come ad esempio quello di email o chat).

Per questo oggi uno Stato non può fare affidamento cieco a piattaforme tecnologiche straniere, per quanto ottime possano essere tecnicamente. Come dimostrano le vicissitudini del Privacy Shield tra Unione Europea e USA, non va sottovalutato il rischio che informazioni sensibili siano in mano a enti/governi stranieri e usate opportunamente contro gli interessi del Paese. Si tratta di sicurezza nazionale, e come tale deve essere la sua priorità​.

  1. Cloud nazionale
    • Orizzonte temporale per l’esecuzione: lungo
    • Esempio di successo: Cina

In ottica di razionalizzazione, abbattimento costi e facilità di manutenzione, è prioritario costruire una piattaforma cloud nazionale. Inizialmente per ospitare tutti i servizi della Pubblica Amministrazione, e implicitamente anche per renderli più efficienti. In una seconda fase tale piattaforma può essere estesa per supportare i bisogni di enti privati. Compito estremamente impegnativo, che richiede tempo, risorse economiche e soprattutto persone. Ma assolutamente necessario.

In quanto a decisioni di svolta prese nelle infrastrutture tecnologiche, nella Pubblica Amministrazione italiana abbiamo un precedente importante: negli anni ’80 con i mainframe. Un vantaggio all’epoca, una zavorra oggi.

Per questo è imperativo che nel decidere adesso di cloud nazionale si guardi non solo al presente ma anche ai prossimi decenni futuri, evitando spiacevoli lock-in (manette) tecnologici. E che soprattutto questa decisione sia fatta tenendo sempre a mente l’interesse nazionale.

Guardiamo l’immagine sotto che riporta le quote di mercato dei più grandi fornitori di servizi cloud al mondo.

Fonte: Statista

Sono quasi tutte compagnie americane. Le uniche eccezioni? Alibaba e Tencent: due compagnie cinesi che, non è un caso, devono molto alle “tartarughe marine” descritte all’inizio al punto #1.

La Cina ha adottato in questo una politica ambivalente. All’inizio ha accolto sul suo territorio le compagnie americane e assorbito know-how tecnologico strategico. Dopodiché la Cina ha supportato in pieno le proprie compagnie del settore, in particolare Alibaba e Tencent, e allo stesso tempo ha ostacolato/bloccato le compagnie americane.

Un piano che ha reso la Cina indipendente in un settore assolutamente strategico come quello cloud, ma con una spregiudicatezza pressoché impossibile da replicare nell’Unione Europea.

Detto ciò, l’Italia ad Agosto ha dato il via al PSN (“Polo Strategico Nazionale”) attraverso la costituzione di una compagnia ad hoc (partecipata da TIM, Leonardo, CDP Equity e Sogei), proprio per creare una piattaforma cloud nazionale. Un progetto importante e che ha nei piani quello di migrare sul cloud servizi di Pubbliche Amministrazioni come ASL e Regioni già nel 2023. Date le tempistiche, è praticamente certo che il PSN userà tecnologie di una di queste compagnie americane, probabilmente Google visto che è partner di TIM.

È un primo passo nella giusta direzione, ma non ci si può fermare qui. Come fece la Cina, sarebbe opportuno per l’Italia apprendere il meglio delle tecnologie cloud, internalizzare know-how e affrancarsi infine da soluzioni validissime ma straniere. Un piano ambizioso e realistico richiederebbe 15 anni per la piena realizzazione. Ma sarebbe un’impresa epica, di quelle che forgiano un Paese e ne lasciano un’impronta culturale duratura (come Israele quando decise sulla cybersecurity).

  1. Cybersecurity
    • Orizzonte temporale per l’esecuzione: medio
    • Esempio di successo: Israele

In questo mio articolo di Marzo parlai di sicurezza informatica in Italia. Come era facile da prevedere, da allora il numero di attacchi verso enti e compagnie strategiche italiane è aumentato drasticamente. In alcuni casi, come in ENI, ci si è ben difesi. In altri invece la situazione è stata purtroppo ben diversa. Ad esempio il Ministero della Transizione Ecologica fu bloccato per addirittura un mese nella sua operatività. In chiave minore, solo pochi giorni fa lo stesso Ministero ha subito un hackeraggio del profilo Twitter.

È evidente l’Italia è sotto attacco: va assolutamente alzata, e di continuo, la barra della qualità informatica in enti e compagnie strategiche.

Israele questo lo capì benissimo. Negli anni ’90 i militari israeliani crearono Unit 8200, una divisione segreta di cybersecurity operativa (letteralmente) sul campo. Da quella unità sono usciti professionisti che hanno poi riversato le loro competenze nel settore informatico privato e creato svariate compagnie miliardarie. Alcuni esempi? Waze (app di navigazione stradale Waze), Wix.com (piattaforma sviluppo web), Check Point e Palo Alto Networks (entrambi colossi mondiali della sicurezza informatica).

La strategia di Israele ebbe un’ulteriore accelerata nel 2010, quando Netanyahu si rivolse a massimi esperti di cybersecurity del Paese e lanciò la “National Cyber Initiative”. Una task force nata con un duplice scopo:

  • sviluppare policy di sicurezza e coordinare gli sforzi tra gli enti
  • far assurgere Israele in pochi anni tra i top 5 Paesi al mondo nella sicurezza informatica, anche finanziando e incubando compagnie promettenti

In sostanza, Israele ha usato la cybersecurity come volano per la crescita economica ed è diventata “Startup Nation”.

In Italia, rispetto ad Israele, abbiamo solo quest’anno mosso i primi passi. È encomiabile la creazione recente della Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale. Però questa non può e non deve limitarsi unicamente a fornire indicazioni sulla sicurezza e a scrivere policy. Così come ha fatto Israele, l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale deve avere un ruolo operativo e attivo nella difesa: deve creare l’equivalente informatico di una linea Grappa – Piave, per poi riversare queste competenze informatiche nelle aree produttive del Paese. Questo è il segreto del successo di Israele: non c’è nessun motivo per cui non sia replicabile anche in Italia.

Per accelerare il tutto, può essere utile un incardinamento dell’Agenzia per la Cybersicurezza sotto il ministero della Difesa o come nuova forza armata, con ruoli e stipendi competitivi e ben definiti; non “equiparati a Banca d’Italia” come adesso.

  1. Intelligenza Artificiale
    • Orizzonte temporale per l’esecuzione: medio
    • Esempio di successo: in corso in varie aree del mondo (USA, Cina)

Negli ultimi anni il Governo italiano ha posto grande enfasi sul tema dell’Intelligenza Artificiale. Nel 2019 con il Ministero per lo Sviluppo Economico, che nel 2019 ha creato una commissione di esperti per formulare proposte per una strategia italiana per l’Intelligenza Artificiale. Poi nel 2021, con un lavoro congiunto del Ministero dell’Università e della Ricerca, del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale, che ha portato al Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale 2022-2024.

In quest’ultimo documento il Governo delinea 24 politiche da implementare entro il 2024, “con l’obiettivo di rendere l’Italia un centro sull’Intelligenza Artificiale competitivo a livello globale, rafforzando la ricerca e incentivando il trasferimento tecnologico”.

È un documento encomiabile, anche se parla di strategia e non di come concretamente scaricare a terra il piano.

Una cosa che giustamente il documento rimarca è l’importanza di elementi base come il dato: l’accuratezza e la precisione degli algoritmi di Intelligenza Artificiale devono molto alla qualità e quantità dei dati da cui modellare. È la benzina necessaria a far decollare tutte quelle compagnie che in Italia vogliono crescere nel settore e competere nel mondo. Va implementato velocemente un piano operativo.

Laddove invece i dati abbondino ma manchino le competenze tecniche nell’Intelligenza Artificiale, va promossa la collaborazione con compagnie o startup innovative. È questo quello che abbiamo fatto in INPS, dove un nostro progetto di avanguardia ha ricevuto un premio dal centro di ricerca internazionale dell’UNESCO come top 10 mondiale dei progetti che supportando i 17 SDG dell’ONU tramite uso avanzato di Intelligenza Artificiale. Sinergie pubblico-privato in questo settore sono vincenti per il Paese, e vanno incentivate.

A tal proposito, un progetto relativo all’aumento dell’occupabilità e della qualità lavorativa porterebbe enormi vantaggi economici, sociali e culturali per il Paese. Andrebbe costruito un sistema che metta insieme Pubbliche Amministrazioni (ad esempio, INPS e ANPAL), Governo (ad esempio, Ministero per l’Innovazione Tecnologica) e settore privato, al fine di aiutare i cittadini. Come? Se disoccupati, facilitando loro la ricerca di lavoro che faccia il miglior uso delle proprie esperienze; se già occupati, suggerendo loro posizioni interessanti per la propria crescita.

È un progetto di alta tecnologia ma assolutamente fattibile. I dati da cui partire ci sono. Quello che va fatto è innescare una relazione virtuosa tra entità così eterogenee, e soprattutto attrarre il meglio delle competenze mondiali nell’Intelligenza Artificiale.

Pensiamoci un attimo. Politiche attive per il lavoro alimentate dall’Intelligenza Artificiale: sarebbe un qualcosa di immenso aiuto ai cittadini e di cui andare a testa alta nel mondo come Paese.

INDUSTRIA

  1. Le grandi compagnie italiane in supporto delle imprese emergenti
    • Orizzonte temporale per l’esecuzione: medio
    • Esempio di successo: Stati Uniti

Nell’immagine sotto sono riportate le 10 più grandi compagnie quotate nella Borsa di Milano.

Fonte: Milano Finanza

Sono molte le cose che saltano subito all’occhio:

  • A parte STMicroelectronics (leader europea nei semiconduttori), le compagnie di tecnologia sono assenti nella Borsa di Milano. Men che meno quelle di software
  • Se non teniamo conto di ridenominazioni o fusioni, sono tutte compagnie che hanno almeno 50 anni di vita nella migliore delle ipotesi, e alcune sono multi-centenarie
  • Nonostante tutto, Apple da sola capitalizza ben 4 volte l’intera Borsa di Milano

Non c’è crescita senza innovazione, e la Borsa di Milano purtroppo esemplifica bene nei numeri questo fatto.

Da un altro punto di vista, le compagnie miliardarie nate in Italia negli ultimi 30 anni sono pressoché inesistenti. La prima è stata Yoox nel 2000. Dopodiché per 22 anni il nulla, interrotto finalmente solo pochi giorni fa con Satispay, che ha raggiunto una valutazione superiore a un miliardo di dollari /euro. E, volendo essere più inclusivi, sempre quest’anno anche Scalapay ha raggiunto una valutazione miliardaria, anche se ha dovuto trasferire la sede societaria in Irlanda (nel punto seguente illustro i limiti delle strutture societarie italiane come la Srl).

Sono però molte le compagnie di tecnologia in Italia di piccola dimensione, alcune delle quali con prodotti molto avanzati nel proprio settore. Cosa manca per uscire da questa situazione lillipuziana?

Da un lato ci vuole una rigenerazione culturale degli imprenditori, e capire che il mercato di riferimento deve dal giorno 0 essere il mondo e non l’Italia. Dall’altro è vitale che quei pochi giganti che ancora esistono in Italia (ad esempio, Leonardo/Finmeccanica, ENI) investano in startup di tecnologia e le aiutino a crescere. Si tratta di pochi soldi relativi al proprio bilancio (“peanuts” per dirla all’americana). Allo stesso tempo questo ha il duplice vantaggio di aiutare sia l’ecosistema produttivo italiano, sia gli investitori stessi nel caso in cui le startup in cui hanno investito diventassero nuovi giganti. In questo l’incredibile evoluzione storica dei rapporti tra Yahoo! e Alibaba è illuminante.

Di recente alcune grandi compagnie italiane lo hanno ben capito. Un esempio è Poste Italiane, che ha iniziato a investire in startup in settori ad essa strategici oltre che ad avere già importanti ritorni finanziari da questi investimenti.

Di rilievo è anche il ruolo di Enel: le startup italiane supportate da Enel nei propri centri di innovazione hanno raggiunto un valore che supera i 100 milioni di euro”. Pochi giorni fa poi Enel ha aperto un laboratorio di Intelligenza Artificiale in Israele, proprio per attingere alle competenze tecnologiche moderne che, come scritto prima, Israele ha sviluppato negli anni.

  1. Lo Stato in supporto delle imprese emergenti
    • Orizzonte temporale per l’esecuzione: breve
    • Esempio di successo: USA

È poco noto ai più, ma uno dei fattori che ha alimentato la crescita imperiosa della Silicon Valley è stato il supporto del Governo americano. Un fatto poco “cool” forse per l’alone di mito che la Silicon Valley si è creato, ma furono proprio gli ingenti fondi governativi americani a far decollare la Silicon Valley: soldi che permisero la nascita di Arpanet (precursore di Internet) e l’acquisto pubblico dei primi microchip quando i costi iniziali erano proibitivi. E non è solo storia passata. Palantir, quella che probabilmente è la più grande compagnia al mondo di analisi dati, deve moltissimo delle sue fortune agli investimenti e contratti con enti del Governo americano (CIA e agenzie militari).

In Italia va introdotta questa cultura. Lo Stato può e deve essere la miccia per l’innovazione, investendo su compagnie di interesse strategico e spingendo attivamente per la loro crescita. Un esempio, come menzionato al punto #4 precedente, sarebbe la creazione di una compagnia di servizi cloud che in 15 anni possa rivaleggiare con quelle americani e cinesi.

Nel breve però sono tanti i frutti che si possono facilmente cogliere con interventi mirati. Ad esempio, oggi ottime imprese innovative italiane hanno la strada bloccata per competere nei bandi della Pubblica Amministrazione. I motivi sono spesso legati ad antiquati requisiti legali e che danneggiano doppiamente il Paese: da un lato limitano alla Pubblica Amministrazione l’accesso a tecnologie di avanguardia; dall’altro impediscono la crescita di startup di tecnologia italiana che trarrebbero enormi beneficî dal lavorare con la Pubblica Amministrazione.

Rimuovere questi ostacoli anacronistici consentirebbe la nascita di sinergie virtuose pubblico-privato di cui i primi a trarne vantaggio sarebbero i cittadini italiani.

  1. Struttura societaria
    • Orizzonte temporale per l’esecuzione: breve
    • Esempio di successo: USA

Sempre in tema di anacronismi, va adottato un nuovo modello di “corporate governance” utile allo sviluppo delle startup innovative. Oggi in pratica l’unica forma che una nuova startup italiana può adottare è quella della Srl (“Società Responsabilità Limitata”). È una struttura societaria adatta alla creazione di una piccola impresa in ambito locale. Totalmente inadeguata, e nociva, per una compagnia che aspiri a crescere a livello mondiale.

Lo dice senza giri di parole Simone Mancini, co-fondatore di Scalapay, compagnia italiana neo-miliardaria che però ha dovuto spostare la sede societaria a Dublino: “La realtà è che gli investitori, quasi tutti stranieri, non investono in aziende italiane: non conoscono la lingua, il diritto e la normativa“.

I limiti di una Srl sono tantissimi, e qui ne elenco alcuni:

  • Non ha un vero equivalente legale in Paesi avanzati. A prescindere dal valore implicito di una compagnia, nessun VC (“Venture Capitalist“) internazionale investirà in una compagnia le cui dinamiche di azionariato sono rigide e fuori standard mondiale
  • Non ha meccanismi di “vesting“, ossia il meccanismo con cui le azioni nella compagnia non sono pre-assegnate ma maturano nel tempo
  • Non ha classi di azioni e con diritti diversi
  • Non consente l’elargizione di “stock options” a dipendenti e fornitori

In breve, una startup italiana è forzatamente non competitiva sin dal momento della sua nascita. La soluzione è semplice e non richiede nessuna invenzione speciale: serve solo replicare in Italia il modello societario delle C-Corp americane. Semplice, flessibile, standard mondiale per gli investitori.

Tra le altre cose, il modello C-Corp dà alla compagnia la possibilità di offrire stock options: in questo modo i dipendenti sono parte del successo della startup (col proprio lavoro) e allo stesso tempo hanno un ritorno economico importantissimo grazie alle stock options. La sola Facebook ha fatto diventare milionari più di mille dipendenti quando si è quotata in Borsa nel 2012.

DIVULGAZIONE

  1. Trasmissioni culturali tecnico/scientifiche​
    • Orizzonte temporale: lungo termine
    • Esempio di successo: Italia in passato

“Non è mai troppo tardi”: è questo il nome della trasmissione che la RAI, in collaborazione con il Ministero per la Pubblica Istruzione, mandò in onda nel 1960 per diminuire il tasso di analfabetismo in Italia. Un successo straordinario che permise a più di un milione di italiani di leggere e scrivere e conseguire la licenza elementare.

I tempi sono diversi, ed è anche grazie a trasmissioni come questa che in Italia da decenni non esiste più l’analfabetismo. Serve però riprendere quello spirito e istruire gli italiani al sapere moderno.

In Italia già ci sono valide trasmissioni di divulgazione tecnica e scientifica del terzo millennio, adatte al pubblico generale. Mi vengono ad esempio in mente Startup Economy su La7 o Codice sulla RAI. Spesso però hanno vita breve e, sebbene replicabili online, sono inizialmente trasmesse in fasce orarie secondarie o in piena notte. In sostanza, non sono considerate prioritarie.

L’evoluzione di un Paese ha le sue fondamenta sulla cultura alla base: va per questo organizzato un piano di divulgazione tecnologica, attraente e moderno. Una collaborazione che unisca le forze migliori di Governo (Ministero dell’Istruzione e Ministero per l’Innovazione Tecnologica), media classici (RAI) e media moderni (YouTuber e influencer di tecnologia) può essere un trionfo culturale per l’Italia del futuro.

**********

I 10 punti elencati sopra non sono gli unici su cui dover intervenire. Ritengo però che siano quelli in assoluto più urgenti e che buttano basi solide per un’evoluzione culturale e industriale dell’Italia tramite l’Informatica.

In questo dovremmo guardare attentamente anche ai recenti sviluppi in Francia. Nel 2019 Emmanuel Macron dichiarò un obiettivo ambizioso entro il 2025: creare 25 “unicorni” francesi, ossia 25 compagnie di tecnologia del valore di almeno 1 miliardo di dollari. In Francia. Ci è riuscito in anticipo, in soli 3 anni, ed ora Macron ha appena rilanciato mirando alla creazione di 100 unicorni francesi entro il 2030.

Miliardi. Non è sempre semplice comprendere l’importanza e l’impatto di certe cifre. Qui sotto faccio due esempi assai recenti:

  1. Quest’anno Microsoft ha comprato Activision Blizzard, famosa compagnia di videogiochi, per 75 miliardi di dollari
  2. Lo scorso mese Adobe ha comprato Figma, compagnia per lo sviluppo collaborativo di web design, per 20 miliardi di dollari

Il caso di Figma fa molto riflettere, in particolare su due cose:

  • Figma è una compagnia creata nel 2012 da due ragazzi di 20 anni
  • In 10 anni, Figma è arrivata a valere più di Fiat (pensando alla quota in Stellantis)

Sono due fattori considerati assurdi in Italia. Perché?

  • In primis per l’età: a 20 anni (il momento più creativo della vita) in Italia si è totalmente ignorati
  • Infine per le competenze. Pensiamoci un attimo: enti o compagnie di Informatica in Italia guidate da professionisti di Informatica. Quanti sono i casi? Molto, molto pochi. In Italia a capo di queste compagnie si preferisce qualche esperto di economia/legge, con l’ulteriore aggravante di non aver mai creato né un prodotto né un servizio digitale. Che risultati ci si può aspettare con queste premesse?

E ho ripensato a quello che quest’estate Marc Andreessen ha detto nella sua intervista a McKinsey:

«Marc, cosa dici di queste grandi compagnie? Se tu dovessi consigliare loro come trasformarsi in un mondo digitale, cosa gli diresti?»

«Trova il miglior tecnologo della compagnia, e fallo diventare Amministratore Delegato».

Una provocazione questa di Marc Andreessen, uno dei massimi pionieri di Internet e che 11 anni fa ha correttamente vaticinato “il software sta mangiando il mondo“. Ma è una provocazione che ha un gran fondo di verità.

D’altronde, se in Italia come Paese siamo purtroppo molto indietro con le nuove tecnologie e non abbiamo ancora le basi per creare delle Figma, è soprattutto perché non riusciamo ad accettare le nuove realtà del mondo digitale e perché, a differenza di altri Stati, in Italia facciamo ancora fatica a riconoscere all’Informatica il ruolo di forza motrice dello sviluppo del Paese.

Ci si può arrendere al fatalismo, o si può lottare come Arditi con il coltello tra i denti. Io preferisco la seconda: qui ho voluto dare il mio contributo da Italiano ed evidenziare 10 punti su cui intervenire concretamente per innovare e rinnovare l’Italia come un Paese digitale. È facile? Assolutamente no. Si può realizzare? Certo che sì.

Iscriviti per ricevere aggiornamenti sui nuovi articoli

Condividi: