Lettera #nofilter a un #18enne: #università e #lavoro a #nudo

Sono pochi i grafici che in sé riescono a racchiudere tante informazioni. C’è quello celebre della campagna di Russia di Napoleone. Ma, nel suo piccolo, ce n’è un altro che tratta eloquentemente di un altro disastro nato anch’esso sotto grandi aspettative: ossia, il grafico sopra, che riguarda lo stipendio che un italiano si può attendere nel corso degli anni e lo paragona a quello di altri Paesi.

Nella sua semplicità, è brutale e istruttivo. E dedico questo lungo articolo a te, ragazza e ragazzo italiano di 18 anni, in modo che tu possa soppesare bene le scelte che stai per compiere e cosa esse comportino per il tuo futuro.

Leggiamo bene cosa ci comunica il grafico sopra:

  1. Un ragazzo italiano a 25 anni già parte percependo molto meno del suo coetaneo francese, tedesco e britannico.
  1. La differenza salariale aumenta a dismisura nel corso del tempo. Specialmente negli anni di maggior splendore della propria vita professionale, gli stipendi di un francese e soprattutto di un tedesco e britannico hanno una forte impennata positiva. Questo non è vero per gli stipendi di un italiano.
  1. A partire dalla seconda metà della propria carriera professionale (quindi dai 45 anni ai 65 anni), gli stipendi di un tedesco e di un britannico cominciano a scendere, per poi arrivare a livelli di quelli italiani a 65 anni (ossia, a fine carriera).
  1. Com’è l’andamento dello stipendio di un italiano? È lineare rispetto all’età. Ossia cresce, ma piano, nel corso del tempo, sia nel proprio periodo di massima espressione lavorativa (dai 25 anni ai 45 anni), sia nel proprio periodo più maturo (dai 45 anni ai 65 anni). In questo sembra simile a quello di un francese, il quale però ha valori di stipendio ben più alti.
  1. In parole semplici, in Italia non importa quanto tu sia bravo, energico e quanto tu contribuisca al benessere della compagnia pubblica o privata. In Italia lo stipendio NON è funzione della tua bravura, ma semplicemente della tua età.
  1. Compariamo ora il caso italiano con quanto accade in Germania e Regno Unito. Dal grafico, è evidente che invece in quei Paesi lo stipendio è funzione della tua bravura, produttività, di quanto tu contribuisca al benessere della compagnia pubblica o privata, e non della tua età.
  1. Solo in tempo di pensione (ossia, al termine della propria vita lavorativa) gli stipendi tedeschi e britannici sono simili a quelli italiani, se non inferiori.
  1. Mettiamo a frutto i nostri studi di scuola superiore, e calcoliamo l’ammontare totale che una persona otterrà con gli stipendi dai 25 a 65 anni. Ossia, l’area sottesa dal grafico della funzione stipendio; o, matematicamente parlando, l’integrale stipendio (t) tra 25 e 65. È lampante che, nel corso della propria vita lavorativa, una persona francese, tedesca o britannica guadagnerà somme che sono ordini di grandezza superiori a quelle di una persona italiana.
  1. C’è da tenere a mente che i valori salariali del grafico sono armonizzati in base al potere d’acquisto. Ossia, tengono già conto del diverso costo della vita nei diversi Paesi: e, nonostante tutto, gli stipendi italiani sono assai più bassi. In soldoni, se col tuo stipendio italiano puoi comprare 1.000 Big Mac dal McDonalds, il tuo equivalente francese, tedesco o britannico ne potrà comprare 1.500 (io adoro il Big Mac Index del The Economist).
  1. Infine, a peggiorare il quadro, bisogna notare che i valori riportati sono lordi. Tenendo quindi a mente che sul già misero stipendio italiano grava una pressione fiscale (a livelli assolutamente immorali, aggiungo io) ben più alta della Germania e del Regno Unito, lo stipendio netto italiano risulta ancora più infimo.

Mi metto ora nei tuoi panni, ragazza e ragazzo italiano di 18 anni: ma perché mai dovresti consumare i tuoi anni migliori lavorando in Italia? E, se non lavorerai in Italia, che senso ha studiare all’Università in Italia?

Prima di continuare, ci tengo a fare queste precisazioni:

  • Nella propria vita c’è ben altro oltre lo stipendio. Allo stesso tempo però c’è una enorme differenza tra il vivere con un salario quasi di pura sussistenza, e il vivere con uno stipendio che ti permette agi senza assilli di arrivare a fine mese. È un concetto letteralmente alla base della Piramide dei bisogni di Maslow, ed è anche dannatamente deleterio per l’intero Paese sia come economia che come felicità: se i bisogni fondamentali di una persona sono sempre in discussione, quando mai questi potrà dedicarsi ad attività di auto-realizzazione? Figuriamoci poi ad attività tese al benessere e prosperità della propria comunità.
  • Il grafico degli stipendi sopra è vecchio. Ha dati del 2001-2002. Sono però certo sia ancora valido, e che anzi la situazione italiana sia purtroppo peggiorata rispetto agli altri Paesi. Se qualcuno ha dati più recenti, sarei davvero contento di averli.
  • Per mia esperienza personale, l’andamento degli stipendi in USA è assai simile a quello del Regno Unito: ossia crescita rapida fino agli anni di maggiore produttività (40-45 anni) per poi decrescere celermente. Probabilmente fa parte della cultura anglosassone. In valori numerici poi gli stipendi USA sono ancora più alti.

E, visto che ci sono, voglio aggiungere una cosa scorrelata che maledettamente in Italia proprio né si comunica né si comprende. A una certa età, la tua vera rendita NON sarà quella del tuo stipendio. La tua vera rendita sarà quella finanziaria, ossia quella legata agli investimenti che hai fatto nel corso degli anni. Ossia, non lavori per i soldi, bensì i soldi lavorano per te. Scriverò un articolo a tal proposito in futuro.

Sblocca il tuo potenziale

Qualche giorno fa sono stato invitato a parlare da Lead the Future e dall’Entrepreneurship Club del Politecnico di Milano all’evento “Unlock your Potential: percorsi d’eccellenza STEM“.

Sblocca il tuo potenziale. È un qualcosa di assolutamente fondamentale, ed è anche un po’ l’anelito insito nella natura umana: vivere la propria vita al massimo ed evolvere acquisendo sempre più capacità e consapevolezza. E sbloccare il proprio potenziale è ancora più importante per te, ragazza e ragazzo di 18 anni che inizi quel periodo (tra i 18 e i 25 anni) di massima espressione creativa e di sfida allo status quo.

Qua trovi le slide del mio intervento.

Come posso investire al meglio gli anni più dirompenti della mia vita? 

La prima vera domanda da adulti avviene a 18 anni. Dopo anni di scuola dell’obbligo, in cui si segue un percorso che ci è stato ordinato (a parte l’indirizzo delle Superiori), ci si può trovare spiazzati nell’avere per la prima volta finalmente libertà di scelta nella propria vita. Ci si pone questa domanda: “Ho fatto finora quello che mi hanno detto di fare. Che cosa devo fare adesso?

La domanda in realtà viene declinata in maniera pericolosamente diversa: “Che Università devo scegliere?

Ossia, si dà spesso per scontato, anche se non si sa cosa fare o non ne si ha voglia, che la scelta naturale sia continuare con l’Università. Perché?

  • un po’ per inerzia (dopo 13 anni di scuola dell’obbligo) e un po’ paura di questa nuovissima libertà.
  • un po’ per pressione familiare dovuta a un’idea vetusta di “prestigio” (non puoi non essere “dottore”! Non sia mai!).
  • un po’ per scarsa chiarezza di cosa si voglia realmente nel futuro.
  • un po’ per consigli non verificati (il classico “mio cuggino” di Elio che dice che con l’Università troverò lavoro e farò tanti soldi).

Sono tutte ragioni PROFONDAMENTE errate, e che possono lasciare cicatrici assai difficili da rimarginare negli anni.

Lascio da parte l’inerzia nella scelta, sperando che tu ragazza e ragazzo prima o poi prenda piena coscienza della tua libertà e sappia decidere tu del tuo futuro. Le altre “ragioni” sono più oggettive da valutare:

  • Pressione familiare: è spesso legata a idee di un mondo e un’economia che non esiste più. Sei davvero sicuro che il mondo abbia sempre più bisogno di avvocati come dice tua nonna? O che se non sei “dottore” (non nel senso medico) allora tu conti nulla?
  • Obiettivi incerti: io su questo personalmente vado di matto. Proprio non capisco. Non sai cosa vuoi fare a 18 anni? È assolutamente normale non avere le idee chiare. È invece da pazzi in questi casi decidere di continuare con l’Università come se fosse un parcheggio in attesa di un’ “epifania” chiarificatrice. Accidenti, prenditi UN ANNO SABBATICO. Viaggia all’estero, vedi culture diverse (in primis quella statunitense e quella cinese), e LAVORA.
    • Capirai così meglio cosa vuoi fare: a quel punto, sarà un piacere dedicare i tuoi sforzi ad un’attività (sia essa studio o lavoro) che ami. Ne ha parlato tra l’altro anche il Corriere della Sera in un articolo su Sette del 2014: “Quell’anno sabbatico che fa diventare grandi“.
    • Sempre a proposito dell’Anno Sabbatico (o “Gap Year” come si dice in USA). È un fenomeno in crescita, diventato popolare ai più perché praticato anche da Malia, una delle figlie di Barack Obama. E, come riporta il New York Times (con i caveat del caso) “studi hanno dimostrato che gli studenti che hanno preso un anno sabbatico hanno risultati accademici migliori degli altri, e inoltre tendono nell’intraprendere percorsi di carriera per loro più soddisfacenti“.
  • Consigli non verificati: che esperienza ha la persona che ti sta consigliando? Uno dei miei cari amici ancora sta maledicendo una conoscenza alla lontana dei suoi genitori, che gli disse “vai alla città X (all’altro capo d’Italia) che ha un’ottima Università e l’istruzione migliore d’Italia“. La cosa si rivelò essere profondamente falsa, così come le referenze di quella persona, ma ormai il danno era stato fatto. Il mio appello te, ragazza e ragazzo di 18 anni: NON ESSERE INGENUO. Chiedi consigli a più persone, lascia stare il classico “cuggino”, valuta che esperienza di vita ha ciascuna delle persona con cui parli, quanto lontana o vicino nel tempo sia la sua esperienza, e infine trai le tue conclusioni.

Parliamo senza pudori. L’Università conviene?

Io ho vissuto e lavorato in Paesi su 3 continenti diversi: Italia, USA e Cina. Quello che mi colpisce è che in Italia ci sia una forte ritrosia a parlare di denaro, quasi come se fosse lo sterco del demonio. È un pensiero che noto insito in molte culture di stampo cattolico (ad esempio l’Italia), mentre quelle di stampo protestante (ad esempio gli USA) hanno spesso una concezione diametralmente opposta. Per non parlare della Cina, la cui vera rivoluzione economica (che la sta portando ad essere il Paese più potente del mondo) iniziò con questa celebre frase di Deng Xiaoping: “Diventare ricchi è glorioso“.

Prima di essere frainteso, e ci tengo ancora a ripeterlo. Non sto incensando affatto atteggiamenti alla Gordon Gekko (“L’Avidità è giusta” / “Greed is good“). Niente affatto. Però di converso non posso accettare il disprezzo di quello che, volente o nolente e senza arrivare agli eccessi, aiuta a vivere agiatamente, a creare famiglia, a non avere problemi essenziali a focalizzarsi di più sulla realizzazione di se stessi e la prosperità della propria comunità. La povertà può essere la scelta rispettabilissima di Santi; però la povertà (così come gli eccessi opposti alla Gordon Gekko) non può essere la bussola culturale di un Paese.

Perciò parliamo di soldi, senza né remore né finto pudore.

Uno dei motivi che spesso si porta a supporto dell’Università è lo stipendio. “Studia, e ne trarrai grandi benefici domani“. Peccato che “domani” è tra 4-5 anni, e a quel punto ci si è spesso dimenticati di questa, ironicamente parlando, “perla” di saggezza.

Controlliamo se questo e vero, e rivalutiamo oggettivamente il tutto con i dati de “Il Sole 24 Ore”. Cosa ci dicono?

Per la media nazionale, il differenziale di stipendio tra diplomato e laureato è di 2,27€ lordi l’ora“.

Fermiamoci un secondo a pensare a cosa voglia dire esattamente un numero simile. Ti dice in quanti anni di lavoro si ripaga una laurea rispetto al lavorare subito dopo il diploma. Ti dice che, in media, un laureato impiegherà QUINDICI ANNI dalla laurea triennale (ossia a 37 anni) per guadagnare complessivamente come un diplomato. Fermo restando che “in molte province il differenziale di stipendio diplomato/laureato è talmente stretto che non sarebbero sufficienti decenni di lavoro per recuperare i soli tre anni di studio universitario” (vedi ad esempio Viterbo, dove il “pareggio” arriverebbe a 99 anni…).

Qua sotto immagine comparativa tra la provincia migliore (Milano) e quella peggiore (Viterbo) assumendo tutte le condizioni più favorevoli: ossia laurea triennale conseguita esattamente in 3 anni senza alcun ritardo.

Perché scegliere l’Università allora?

Se siete arrivati fino a qui, vi starete chiedendo perché scegliere l’Università allora.

Semplice: per la Passione per il Sapere. Quello che Dante magistralmente racchiuse nell’appello di Ulisse. “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza“.

Però non dobbiamo dimenticarci che viviamo nel 2020, e che oggi ci sono moltissimi modi per apprendere.

  • Ci sono insegnamenti destrutturati, ma che possono andare in profondità su temi specifici, come riviste di settore, blog, podcast e tutorial.

Accidenti, ci sono addirittura corsi online delle Università più importanti del mondo (ad esempio Stanford, oppure Princeton, Harvard e tante altre), tenuti da professori che hanno fatto la Storia.

Vuoi imparare le basi di Intelligenza Artificiale?

  • Caspita, chi meglio di Andrew Ng, professore di Stanford, capo scienziato del colosso cinese Baidu e co-fondatore della squadra di ricerca di Google Brain, può insegnarti? Link al corso: https://www.coursera.org/learn/ai-for-everyone

Vuoi imparare cosa avviene in tempo di Crisi Finanziarie mondiali?

La verità è questa. Oggi l’ignoranza è una scelta. Sono molteplici i canali su cui una persona può ampliare le proprie conoscenze. A differenza di quanto avveniva solo pochi anni fa, ormai i mezzi per imparare sono alla portata di tutti, a costi bassi se non addirittura nulli.

Cosa ne ha conseguito? L’Università tradizionale si è trovata per la prima volta nella sua Storia ad avere concorrenza sul monopolio del Sapere.

Perché allora oggi scegliere l’Università tradizionale?

Sono tre le cose principali che l’Università tradizionale deve offrire a uno studente, in modo da rimanere competitiva rispetto ad altre forme di apprendimento.

  • Professori e Maestri di ECCELLENZA. Persone che abbiano lasciato un segno nell’industria privata o nella ricerca, e che sappiano insegnare. Non sarò forse aulico nelle mie figure retoriche, ma è esattamente come nel calcio: i giovani della “cantera” del Barcelona (la sua squadra allievi) come Messi e Guardiola sono diventati Campioni crescendo con gli insegnamenti di allenatori e giocatori di prima squadra tra i migliori al mondo.
  • Relazioni di studio/lavoro tra studenti. Da studenti questo è un aspetto su cui non ci si sofferma. Ma tra 5-10-20 anni i tuoi compagni di studio di adesso saranno i co-fondatori della tua compagnia, o tuoi collaboratori o dipendenti. E oggi li conosci nel momento in cui sono più puri, senza finzioni o vanagloria sui social. Hai sudato per settimane con Marco su quel progetto di Data Mining? Beh, allora sai se Marco è una persona piacevole con cui lavorare, sai se è bravo e se rispetta le scadenze. Quando tra 10 anni penserai ad aprire una tua compagnia, la tua Seldon Analytics Inc., sai già chi chiamare.
  • Insomma, esci dai libri! Fa’ più progetti di gruppo possibile, conosci gente, apprezza le loro qualità e scappa da quelli che dimostrano già alla tua età di non avere fibra morale. È questo il tuo vero network: sarà questa una delle cose più importanti in assoluto nella tua carriera professionale futura.
  • Infine, l’Università deve ripagare, e IN FRETTA, l’INVESTIMENTO che hai fatto. In termini finanziari, questo si chiama ROI: Return on Investment. Tienilo bene a mente: magari pensi che non stai spendendo niente o poco, come la retta universitaria. In realtà stai spendendo il tuo bene più prezioso, il tempo, che nessuno mai potrà ridarti indietro. Sii saggio su come e dove lo investi. Purtroppo però, sin dall’inizio di questo articolo, ho mostrato come sia contro il tuo stesso interesse investirlo in Italia: un Paese in cui si avanza per età e non per merito. È angosciante.
  • Ripeto per l’ennesima volta. Non voglio far passare il concetto che i soldi siano tutto nella vita. Non è affatto così. Però è inaccettabile che tu ragazzo, che investi gli anni in assoluto più creativi della propria vita (quelli dai 18 ai 25 anni), gli anni in cui spesso si fanno le ricerche che portano al Nobel, venga umiliato in questo modo e non abbia alcun modo per sbocciare e aiutare a rendere prospero il Paese.
  • Un rettore universitario potrebbe dire “Eh, ma che possiamo farci noi dell’Università? Purtroppo questo va oltre la nostra sfera di azione diretta“. È giusto. È parimenti giusto, e opportuno, che uno studente dica allora “Ma se devo dedicare i miei anni più preziosi per avere praticamente lo stesso stipendio da diplomato, perché mai dovrei fare questo investimento a perdere? Che senso economico ha l’Università tradizionale? Perché mai dovrei essere masochista?“.

Sporcati le mani: l’internship

Ogni tanto penso a un grande problema dell’Italia. Io vengo dalla campagna, mio nonno era minatore di carbone, eppure per mia madre era inaccettabile che mi interessassi a lavori “pratici”. D’estate ero costretto a stare al mare, mentre invece volevo imparare dal meccanico vicino di casa come riparare un motore. Risultato: ottima abbronzatura, ma non sono in grado né di mettere mano a un banale motorino né di cambiare una semplice candela. Ma soprattutto non ho imparato cosa voglia dire stare in officina, e non ho placato la mia sete di conoscenza su come effettivamente funzioni un motore.

Scrivo questo aneddoto perché è un pensiero che ho riscontrato essere assai comune quasi ovunque in Italia (forse con l’eccezione del Veneto): un “dottore” non può sporcarsi le mani. Il “piccolissimo” problema di questa scuola di pensiero è che potrai magari elucubrare dotti pensieri filosofici sui massimi sistemi, ma alla fine non avrai imparato un bel niente né portato nulla di utile al progresso umano. Il grande fisico Max Planck riassume egregiamente questo dicendo: “Sapere, senza saper fare, non serve a nulla“. Oppure Confucio, che attribuisce alla pratica il livello sommo di conoscenza: “Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco“.

L’Italia purtroppo sconta reminiscenze culturali che affondano le radici nell’800, proseguite con Giovanni Gentile, e che non ci si riesce proprio a scrollare di dosso. Si rifiuta il concetto stesso di evoluzione culturale e si pensa che il progresso umano sia cristallizzato nel tempo. Il tutto è magistralmente esemplificato ancora oggi nella (purtroppo spesso) patologica avversione dell’Università italiana a tutto ciò che abbia una parvenza di pratico.

Io all’Università in Italia (Ingegneria Informatica a Bologna) studiai Reti di Telecomunicazioni senza avere la più pallida idea di cosa fosse SSH (quella cosetta “irrilevante” alla base delle connessioni remote), o Misure Elettroniche senza un laboratorio (davvero estasiante “misurare” sulla carta fantasticando con strumenti mai visti). Entrambi gli esami passati con 30 e lode, per poi invece rendermi conto col tempo di aver imparato solo aria fritta. Sono cose degne di una Università queste?

Oppure, 3 anni fa ho sentito questa conversazione a una fiera di lavoro in una Università a Milano, tra il direttore di una bella compagnia di realtà aumentata ed uno studente:

  • Direttore compagnia: “Allora tu fai programmazione, scrivi codice, vero?”
  • Studente, allarmato e quasi disgustato: “No, no! Io studio Informatica!”

Ora, cosa vuoi rispondere ad affermazioni del genere? Ti cadono le braccia e perdi anche speranza.

Dico a te, ragazza e ragazzo di 18 anni. Svegliati. So che non è né facile né vivi la situazione ideale, ma devi andare oltre le pessime carenze universitarie italiane, e devi darti da fare di tua iniziativa. L’estate devi *assolutamente* fare un internship, come si dice in USA, o un tirocinio/stage come si direbbe in Italia.

Quando dico questo, una delle obiezioni maggiori che i ragazzi mi fanno è: “Ma così mi laureo in ritardo!“. Il tutto è tristemente consistente con l’obiettivo di prendere un pezzo di carta al più presto e farsi chiamare “dottore”, e non invece maturare esperienze concrete.

Ci tengo per questo a raccontare un altro aneddoto. A me l’internship ha cambiato la vita. Mi stavo proiettando verso la carriera accademica, quando nel 2006 feci un internship di 3 mesi a Yahoo! (all’epoca la compagnia internet più importante al mondo). Fu la mia prima vera esperienza pratica col mondo del lavoro. E che esperienza! Lì capii cosa volesse dire costruire un prodotto software usato da centinaia di milioni di persone al mondo; lì capii come funzionassero certe dinamiche aziendali; e infine lì capii che mi piaceva di più lavorare a un qualcosa che avesse un impatto rapido sulla vita delle persone, che non aspettare i lunghi tempi dell’accademia.

Fu allora che presi la decisione di lavorare in grandi compagnie e abbandonare la carriera universitaria. E tra l’altro sono pure orgoglioso che quel mio breve periodo a Yahoo! lasciò il segno: a distanza di molti anni scoprii che il mio fu un caso importante di successo che i recruiter raccontavano alle fiere del lavoro per convincere futuri studenti a lavorare a Yahoo!.

Oggi quando guardo il curriculum di uno studente neolaureato, la prima cosa che cerco è se ha fatto internship e dove. Mi è importante per capire se:

  • il neolaureato è intraprendente: ha alzato la testa sopra i libri e ha capito che c’è un mondo oltre quello puramente accademico.
  • il neolaureato sa più di preciso cosa gli piaccia fare: aver svolto in precedenza degli internship ti dà questa prospettiva.
  • il neolaureato ha aspettative realistiche del mondo del lavoro.

Quando invece vedo che il neolaureato non ha mai fatto internship, cerco ugualmente di capire che esperienza abbia. Però non mi è raro imbattermi in ragazzi di Informatica o Ingegneria Informatica che, nel 2020, non hanno mai usato Git. È un po’ come se un medico non avesse mai usato uno stetoscopio. E quando sento dire loro frasi come: “Ma l’Università non me lo ha insegnato!“, allora penso immediatamente “Certo. Ma l’ignoranza è stata una tua scelta, e nel 2020 avresti potuto e dovuto accorgerti facilmente delle carenze della tua istruzione“.

Tra un candidato che non ha mostrato curiosità su come sia il mondo reale, e uno che invece ha mostrato intraprendenza ed è certo di cosa stia cercando, secondo voi chi preferisco? Quindi, per favore, laureatevi tranquillamente in ritardo. Ma nel frattempo fate uno o due internship in compagnie che possano arricchirvi professionalmente.

Cosa fare dopo la laurea triennale?

In Italia si pensa che la laurea triennale non sia abbastanza, e che bisogna assolutamente andare avanti con altri due anni di laurea magistrale.

La domanda che uno studente deve invece porsi è: ma perché continuare?

  • Hai ottenuto il titolo di “dottore”: la pressione familiare in tal senso è finita.
  • Hai già investito (e male, economicamente parlando) il tuo tempo con la laurea triennale. Perché vorresti perseverare nell’errore?
  • Se pensi che l’Università non ti abbia insegnato molto durante la laurea triennale (cosa che sento dire spessissimo), cosa mai ti fa pensare che la stessa Università, con gli stessi professori, possa insegnarti ben altro nella laurea magistrale?

Sull’ultimo punto, ma poi perché mai continuare nella stessa Università?

In USA questo è assai sconsigliato, dato che degenererebbe facilmente nel cosiddetto “incesto accademico“. Proseguire tutto il corso di studi nella stessa Università è deleterio sia per lo studente (che è esposto a un minor numero di professori, compagni di studio e culture dell’istruzione) che per l’Università stessa (che diventa un ente a sé stante, con scarse contribuzioni dal mondo esterno).

Ragazza e ragazzo, se vuoi davvero continuare ulteriormente gli studi, apriti al mondo. Vai in un’altra Università, cambia città e Paese, e considera specialmente poi culture diverse da quella italiana (come ho già detto sopra, in primis USA e Cina).

Il consiglio che dò però è quello di fermarsi dopo la laurea triennale, e dedicare un paio di anni al lavoro. È l’approccio classico che gli studenti americani adottano dopo aver terminato il Bachelor (in sostanza la laurea triennale). In questo modo, come e a maggior ragione che nell’internship, prendi ulteriore coscienza di cosa ti piaccia davvero. E se torni poi a studiare, apprezzerai maggiormente le lezioni, oltre che esigere massima qualità didattica dai professori visto il rinnovato investimento che stai facendo.

Il tuo primo lavoro (tech)

Posso dare consigli solo nell’ambito lavorativo che conosco bene, ossia quello tecnologico, e in particolar modo quello software.

Un neolaureato ha in genere tre strade su dove andare a lavorare:

  • Grande compagnia: Google / Microsoft / Amazon / Facebook / Apple
    • È la strada che io ho percorso all’inizio, e che personalmente consiglio vivamente. È il modo migliore per lavorare su sistemi enormi, che supportano anche miliardi di persone, e imparare cosa voglia dire costruire e mantenere prodotti di questo calibro. Allo stesso tempo, impari quali sono le aree di debolezze di questi colossi, il che è un ottimo spunto per lanciare in futuro una tua compagnia.
    • Brand Name Recognition“: un nome Google / Microsoft / Amazon / Facebook / Apple nelle tue prime esperienze, nel bene e nel male, fa diventare il tuo curriculum più appetibile a un esaminatore esterno quando vorrai cambiare lavoro. È simile nel calcio: un giocatore per quanto poco bravo del Barcelona è valutato molto di più di un calciatore promettente della Virtus Entella.
  • Startup emergente: ovviamente, Cicero pro domo sua, dico Conio: la startup che ho co-fondato e che ha appena raggiunto 100mila utenti. E stiamo anche assumendo. Ma in Italia ci sono anche altre valide realtà con grandi missioni: un esempio è WeSchool, di cui ho parlato pochi mesi fa qui in un’intervista al fondatore.
    • Le startup non hanno con sé un nome di grido, o almeno non all’inizio. Quindi poca/nulla “Brand Name Recognition“. Ma possono lavorare in settori molti caldi e di grande interesse (e.g., cybersecurity, virtual reality, blockchain) di cui tu puoi diventare uno dei maggiori esperti. Quando il settore sarà più diffuso, sarà per te molto facile rivendere bene la tua esperienza da pioniere.
    • Altra cosa interessante di una startup, specialmente nella sua fase iniziale, è che ti permette di vedere più rami della compagnia: da quello di sviluppo, a quello di marketing, a quello legale. Sei quindi esposto maggiormente a molte facce del prodotto, e la tua esperienza ne beneficia. Dall’altro verso però, la startup è spesso poco strutturata: in personale, risorse economiche e pianificazione. L’unica certezza è l’incertezza. Piace a chi ha un’indole da esploratore, meno a chi preferisce tenere tutto sotto controllo e non navigare a vista.
  • Compagnia di consulenza
    • Da una lato la cosa positiva è l’esposizione continua a vari progetti, evitando quindi di rimanere bloccato a lungo nello stesso. Dall’altro lato, il rischio forte è quello di lavorare su tecnologie desuete, su cui la compagnia di consulenza fa attività di manutenzione: non la cosa più eccitante da mettere in un curriculum, specialmente poi da neolaureato.
    • Quando leggi di “ambiente giovane e dinamico”, non essere ingenuo e cerca di capire in parole semplici cosa voglia dire esattamente. Spesso “ambiente giovane e dinamico” equivale ad alto turnover, con personale che entra ed esce in continuazione e pochi che davvero restano: chiediti il perché.
    • È comunque molto difficile dare un giudizio generale sulle compagnie di consulenza, dato che ce ne è una grande varietà: da quelle serie, a quelle che rasentano la truffa.
    • Riguardo queste ultime, io consiglio di guardare bene cosa è successo il 1 Aprile 2020 all’INPS: uno scandalo vergognoso di cui ho parlato qui pochi mesi fa. Ti invito a individuare le persone e le compagnie che hanno lavorato su quello scempio. Sono quelle le persone e le compagnie da cui devi scappare a gambe levate, a meno che tu non voglia rimanere masochisticamente incastrato a scrivere “var pippo” tutta la vita (per me quello è il sublime equivalente informatico del grido di dolore di Munch).

Ultimi consigli

Fino ai 18 anni l’invito che ti viene fatto è quello di studiare alacremente: essere “book smart” (istruito) come si direbbe in USA. Ora che sei maggiorenne, l’invito che io ti faccio è quello di essere anche “street smart” (sveglio).

Le scelte che stai per compiere ora avranno un enorme impatto sulla tua vita futura: è di assoluta importanza che tu prenda decisioni informate avendo dati oggettivi alla mano e tenendo sempre un atteggiamento critico (nel senso di non accettare Verità assolute) verso qualsiasi consiglio ti venga dato. Ascolta tutti, valuta la loro attendibilità, e poi decidi tu liberamente.

Ti ho mostrato come né l’Università né il Lavoro in Italia siano mostri sacri da venerare senza porsi domande. Gli “idoli” erano già al loro crepuscolo ben prima del 2020; poi ora, in tempo di coronavirus, in cui tutto sta rapidamente cambiando, quelle certezze sono completamente tramontate.

Infine, ricordati sempre che sei tu l’unico al mondo a vivere la tua vita. Non i tuoi genitori, non i tuoi nonni, non i tuoi amici. Tieni sempre a mente che non c’è una strada perfetta né una adatta a tutti. Sei tu, e solamente tu, che devi capire cosa ti piaccia veramente. Viaggia, lavora, trasuda di nuove esperienze: e, una volta che hai deciso la tua strada, va’ fino in fondo con tutta la tua grinta. Quella sì sarà una vita che sarai orgoglioso di vivere.

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